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Vecchio 13-02-2017, 11:42   #30
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SerenaF
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Predefinito Re: Il nostro comportamento ed una delle sue conseguenze: l'antropocentrismo

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Originariamente inviato da Aletto Visualizza Messaggio
P.S. il postumanesimo, sapere qualcosa in proposito sarebbe utile, basta digitarlo in rete tanto per avere un'idea, mica dobbiamo studiare
Perché non provi a darne una breve presentazione tu, a beneficio di quelli che magari leggono il forum nei ritagli di tempo e non hanno la possibilità o il tempo di fare ricerche in rete? Oltre al fatto di poter adeguare facilmente la lunghezza e il livello della presentazione a quello delle conoscenze degli utenti del forum (che personalmente giudico molto buono, anche se non si può presupporre in ognuno un bagaglio tecnico, altrimenti saremmo su un forum di filosofia e non di gatti), potresti focalizzarti sugli aspetti più utili al discorso che stai portando avanti e sul modo in cui secondo te andrebbero recepiti. Demandare l'incarico ai tuoi lettori potrebbe essere decisamente più dispersivo e fuorviante, dato che non tutti prestiamo attenzioni agli stessi argomenti e non tutti ne traiamo le stesse identiche conclusioni.
Ti aiuterei volentieri, ma dopo i post dei giorni scorsi, mi sono accorta che tendo a scivolare facilmente in un gergo troppo specialistico e noioso.

Per il resto due brevissime (seee, credeteci!) note:
1) come già dicevo, al di là di tutte le osservazioni sull'etologia, la neurologia, ecc... del gatto in comparazione con quella umana, si tratta anche di valutare su una scala, che non può che essere individuale, l'entità del rischio a cui sarebbe potenzialmente esposto il nostro micio, se le cose andassero storte. Se mi metto a spignattare mentre lui mangia sul bancone di cucina (a Edhel per esempio piace far così) o su una mensola, alla peggio gli cade un barattolo addosso oppure mi scivola una padella di mano e lo spavento, quindi è vero che il rischio 0 non c'è mai, ma qui siamo in presenza di un pericolo che potremmo presupporre abbastanza moderato. Però, se mettessi una pentola sul fuoco, lasceresti che Berenice si avvicinasse senza sorvegliarla? Se la vedessi rosicchiare dei cavi elettrici, la lasceresti fare? O metteresti da parte tutte le considerazioni su quando e come si sviluppa pienamente la corteccia prefrontale nei gatti e interverresti? Anche questo però sarebbe un atteggiamento abbastanza "paternalistico" che tende in qualche maniera a riproporre la superiorità dell'uomo in quanto custode della vita dell'animale che quindi si sente autorizzato a consentirgli certe esperienze di vita e a precludergliene altre.
2) passiamo ad un tema più ameno: le "coccole". Abbiamo ricondotto l'impluso ad accarezzare e spupazzarci i nostri micioli ad una tendenza epimeletica e in effetti in alcuni casi, questo appare abbastanza innegabile (ad esempio, ho un'amica che ogni tanto acchiappa la sua gatta e le fa a forza due coccole, lamentandosi che lei non è come le mie; probabilmente lo sarebbe, se non pretendesse da lei dimostrazioni d'affetto che quella micia non si sente di dare, magari in quel momento). Però ci sono anche dei gatti- oserei dire la maggiorparte di quelli di casa- che, magari a modo loro e con i loro tempi, dimostrano di gradire e ricercare il contatto con l'uomo. L'altro giorno, mentre sfogliavo uno dei saggi introduttivi sulla filosofia di Levinas che avevo usato per la tesi, mi sono imbattuta in un'espressione che lui usa in riferimento alla relazione erotico-amorosa (la conoscevo, ma con il tempo mi era un po' passata di mente) e cioé "egoismo a due"; di fatto, lasciando perdere il contesto in cui è stata elaborata che non ha nulla a che vedere con il rapporto uomo/animale, non si può pensare il momento delle coccole come l'incontro tra due egoismi, la mia pulsione epimeletica e un impulso convergente del gatto, anziché ancora una volta come la prevalenza e la sovrapposizione di un desiderio umano sulla soggettività felina e a scapito di questa?

Ultimissima cosa, lo giuro:

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Originariamente inviato da Aletto
Però non saprei spiegarmi perché nell'ambito di conferenze dove la filosofia si occupa di animali venga sempre citato Cartesio e meno gli altri
Viene citato perché è il capostipite di un certo modo di intendere gli animali, come privi di libertà e soggiacenti al mero determinismo; il fatto che si citi Cartesio, se da un lato è scontato e condivisibile, dall'altro rischia di essere fuorviante, a mio avviso per diversi motivi:
1) Cartesio sembra all'origine di un certo modo di pensare che giustifica la supremazia dell'uomo sull'animale; di fatto si tratta di un pensiero che in ambito extra-filosofico e più precisamente religioso, è ben più antico, risalendo ad un certo Cristianesimo molto antiquato e tradizionalista che per fortuna oggi trova sempre meno consenso. La negazione della res cogitans agli animali non è che la versione laica e filosofica della negazione che possano avere un'anima, non perché la res cogitans sia l'anima secondo Cartesio, ma perché in entrambi i casi si scava un solco ontologico tra l'essere umano e gli altri animali.
Solo che immagino che attaccare Cartesio suoni molto più politically correct che non attaccare il cristianesimo o una certa sua interpretazione.
2) dà l'impressione che il modello cartesiano permanga immutato e inscalfibile fino ai nostri giorni, quando la sua erosione avviene in tempi molto vicini a lui, da un lato, riconoscendo all'animale aspetti razionali o spirituali che per Cartesio erano appannaggio esclusivo della res cogitans e quindi dell'uomo, in quanto unico essere che ne è provvisto (e questa è una tendenza che si ritrova soprattutto nell'Illuminismo tedesco: ho già detto dell'analogon rationis, ma si potrebbe far riferimento anche alla monadologia di Leibniz. In entrambi i casi non c'è più un dualismo ontologico, ma una semplice differenza di grado). D'altro lato soprattutto tra i conterranei di Cartesio, si ha la tendenza a negare l'esistenza della res cogitans (vedi La Mettrie, Helvetius...): anche l'uomo è una macchina, magari più raffinata della lumaca, ma sempre macchina è e questa è una visione che permane fino alla prima metà dell'Ottocento, all'interno quindi di un'impostazione non più illuministica, ma positivistica (vedi Buchner).
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