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Visualizza Versione Completa : I gatti magici - una fiaba lunghetta in ricordo del mio amato Billy..


styd
17-12-2007, 15:27
I gatti magici

C’era una volta un castello d’avorio racchiuso in una sfera di cristallo. All’esterno case di ogni colore e sfumatura, strade, veicoli, persone ed inquinamento, sembravano incorniciare quel piccolo mondo antico. Il castello era di una bellezza singolare e tutti lo ammiravano. Le mura interne erano ricche di fregi ed oggetti preziosi, unici per il loro valore e la loro antichità.
Nel castello abitava il giovane sovrano, la regina, e le due principesse, Aras ed Eclicia, ancora bambine, che il re amava più di se stesso. Gli impegni di palazzo erano molti, ma il re riusciva comunque a dedicare loro del tempo, per educarle alla lettura, all’amore per la natura e per le sue creature.
Spesso salivano tutti insieme in cima alla torre più alta e da lì, abbarbicati alle bianche merlature, osservavano il mondo esterno, protetti dalla sfera di cristallo. Amavano quei momenti, in cui osservavano il cielo, come la volta in cui Aras chiese: “Padre, cos’è che sfreccia in cielo con tanta rapidità?”. “E’ un falcone, un rapace che dimora nella torre di guardia. Adesso sta cacciando per la propria prole.” rispose il re, contento dell’interesse che il mondo animale suscitava in lei. Eclicia amava soprattutto osservare la volta celeste nelle notti tiepide e una sera domandò: ”Ma dove vanno a dormire di giorno le stelle?”, suscitando risate in tutti.
La sfera fatata che avvolgeva il castello era un dono per la nascita del re, affinché il sovrano potesse trascorrere la propria infanzia e giovinezza in serenità, e costruirsi poi una famiglia, libero di ammirare la realtà ma protetto da essa e dai suoi pericoli. La vita, al riparo della sfera, procedeva tranquilla, grazie alla regina, impegnata ad accudire amorosamente la famiglia ed a rendere accogliente il proprio nido, posto al centro della sua vita.
Col passare degli anni, però, le giornate al castello divennero meno allegre e spensierate. Si assomigliavano tutte e l’osservazione del mondo attraverso la sfera risultava triste, perché muta. I suoni della vita e della natura non potevano attraversarla, generando così nella famiglia reale un crescente senso di disagio.
La città tutta intorno continuava a crescere al punto che, prima di incontrare un prato fiorito o un bosco era necessario camminare per ore attraverso strade rumorose e maleodoranti lungo le quali il re non amava addentrarsi con le figlie. Così la famiglia reale, chiusa nel magico maniero, giorno dopo giorno si intristiva nel suo dorato isolamento.
Un giorno il re chiamò moglie e figlie e disse: “Devo porre rimedio al nostro malessere. Partirò e troverò una soluzione”. L’indomani intraprese un lungo viaggio ed incontrò saggi e filosofi, scienziati, sacerdoti e stregoni, senza venire a capo di nulla. Fra gli esperti non c’era accordo e le riunioni finivano spesso in rissa, con libri sacri e formule magiche sparse dappertutto. Una mattina si presentò al castello e disse, sconsolato “Miei cari, ritorno a mani vuote. I saggi non sanno risolvere il nostro problema. Il castello è stregato da un incantesimo troppo forte”. Allora la regina disse: “Marito, lascia che sia io ad occuparmene. Con la mia sensibilità troverò una soluzione”. Con la benedizione del re uscì e si recò presso l’abitazione di una maga, che abitava poco lontano. Le disse: “Maga, il mal di vivere affligge la famiglia reale. Il castello ci è caro, ma è isolato dal mondo esterno. Puoi rompere l’incantesimo che ci impedisce di essere felici?”. La maga le porse una cesta dicendo: “Prendi questi due gattini appena nati, loro ti aiuteranno”. La regina ne fu intenerita, ma era incerta, e chiese: “ Perché mi doni questi animali? Pensi forse che due cuccioli possano risolvere il problema che ci tormenta?”. La maga rispose: “Illyb ed Ellior sono le due metà di un universo fatato. I loro amuleti sono il simbolo del loro magico potere. Porta i cuccioli con te, accudiscili e loro vi restituiranno la gioia di vivere che avete smarrito. Ora va’, ma ricorda, sono nati da un’unica placenta. Fai che non si separino mai. Altrimenti sciagura cadrà su di voi”. La regina lo promise e ripartì felice.
Giunta al castello radunò i familiari e raccontò: “Ho trovato la soluzione che cercavamo: questi cuccioli ci doneranno lo spirito della natura che noi, a causa della sfera fatata e della città sorta intorno al castello, non possiamo percepire né raggiungere”. Ed aggiunse ancora alla famiglia stupita: “Illyb è la pienezza del giorno. In lui coglieremo la gioia della vita. Nei suoi occhi d’ambra troverà pace e ristoro ogni nostra pena. Ellior è il mistero della notte; ci accoglierà e scaccerà ogni nostra paura, accompagnandoci nei momenti bui con passo sicuro. Ma ricordate bene, ho giurato alla maga che non saranno mai separati. Altrimenti tristezza e dolore scenderanno su di noi”. E con queste parole chiamò le figlie a sé e porse loro la cesta. “Evviva! Come sono morbidi!” esclamarono Aras ed Eclicia, abbracciando i cuccioli, che divennero ben presto i loro migliori compagni di giochi.
Illyb passava ogni minuto con le bambine, accompagnandole con il tenue tintinnio del suo campanellino di cristallo e rendendo i loro giochi più allegri e divertenti. Tenerlo in grembo era il passatempo preferito di tutta la famiglia. Pareva che il suono del cristallo magico sciogliesse in loro ogni tristezza e rendesse più serena la vita di tutta la corte. Anche gli ospiti del palazzo, vedendolo, erano colpiti dalla serenità che trasmetteva il suo maestoso incedere.
Ellior invece si aggirava silenzioso e furtivo nel palazzo, facendo capolino nei luoghi e nei momenti più impensati, e comparendo sempre ai piedi del grande letto in cui dormiva tutta la famiglia, quando le ombre della sera si facevano più lunghe. Ellior aveva al collo una perla nera, che pareva attirare a sé le ombre ed emetteva, di notte, il chiarore di un cielo stellato.
Ma la pace e la prosperità del regno non rimasero a lungo inosservate. Un potente vicino dal cuore malvagio, il duca Fatos, invidiava la serenità che sembrava avvolgere nuovamente la famiglia reale ed aveva giurato in cuor suo che avrebbe spezzato questo incantesimo. Pensò e tramò a lungo, fino a quando una spia si presentò al suo cospetto con notizie urgenti da riferirgli: “Vostra Altezza, i gatti del re sono magici. Sono loro che hanno guarito la famiglia reale, dandole la forza di governare con giustizia ed onestà il regno. Ma se verranno separati il loro incantesimo sparirà. E la tristezza distruggerà il re e tutti i suoi cari”. Il duca si mise ad urlare: “Accidenti a loro! Ma adesso che sappiamo tutto, potremo colpirli! Non sopporto di vederli felici. Voglio rovinarli!” Inviò prontamente un messaggero a corte, che si presentò al re dicendo: “Vostra Maestà, il duca Fatos Vi ammira e Vi stima. Ha deciso di offrire alla Vostra Maestà ed alla famiglia reale un viaggio in una sua proprietà di grande bellezza nelle terre al di là del mare”. Il re aveva sentito molto parlare di quella landa selvaggia, incorniciata da un mare turchese, ed era stanco per il molto lavoro. Non intuendo il malvagio piano dell’infedele suddito e lusingato da tante attenzioni, accettò l’invito”.
Partì l’indomani, accompagnato dalle figlie e dalla regina, incaricando persone di fiducia di accudire i propri beniamini, da cui non si era mai allontanato prima di allora. Prima di lasciare il castello salutò i gatti magici accarezzandoli teneramente e dicendo loro: “So che vi mancheremo, ma non possiamo portarvi con noi. Soffrireste per il lungo viaggio e rischiereste di morire, cosa che non sopporterei, perché mi avete riempito il cuore di gioia. Arrivederci, miei fedeli amici”.
Il lungo viaggio passò veloce, fra mille meraviglie. Aras continuava a ripetere: “Guarda madre, è meraviglioso questo mare. E’ profondo molti metri, ma possiamo scorgere pesci e tartarughe nuotare sul fondo, come se fossimo a riva”. Eclicia invece era affascinata dai delfini, che seguivano la scia dell’imbarcazione: “E’ come se saltassero la corda per divertirci” diceva osservandone le evoluzioni sopra gli spruzzi di schiuma. Tutti erano pervasi da un senso di benessere, per il contatto finalmente diretto con i colori, i suoni e gli odori della natura incontaminata.
Quando il re pensava alla fortuna di quel viaggio e alla generosità del duca Fatos, sentiva una vaga inquietudine dentro di sé, ma le notizie che giungevano dal castello lo rassicuravano. “State sereno maestà. I mici sono tranquilli. Forse sono un po’ tristi per la vostra assenza, ma noi ci prenderemo cura di loro, non preoccupatevi.” gli dicevano.
Pochi giorni dopo si presentò nuovamente a palazzo il messo di Fatos e si fece ricevere dal ciambellano: “Sono in viaggio con un eminente scienziato, esperto di animali, che vorrebbe conoscere i preziosi gatti del re, la cui fama si è diffusa in tutto il regno”. Così furono accompagnati dinnanzi ai felini, che li guardarono subito con sospetto. Lo scienziato, che era in realtà il duca Fatos travestito, emise il proprio falso responso:”I gatti soffrono di una grave malattia e in pochi giorni moriranno. Dovete lasciarli liberi di vivere a contatto con la natura”. Il malvagio duca non era interessato alla salute degli animali, che soffrivano solo di nostalgia dei propri cari, ma aveva elaborato un piano per catturarne uno e causare la disgrazia del re.
Avvisato del parere dello scienziato, il re parlò: “Ordino che i miei amati gatti siano liberi di andare e venire dal castello. Voglio che riscoprano i rumori ed i profumi della vita. Non devono sentire troppo la nostra mancanza.“ Il re era in pena, ma pensava: “Sono saggi e benvoluti da tutti. Non si cacceranno nei pasticci”.
Non sospettava, purtroppo, il piano di Fatos. Il duca attese il buio con i propri servi e, col favore delle tenebre, cercò di catturare i gatti reali. Nessuno assistette all’agguato, ma la mattina seguente solo Ellior fece ritorno al castello, miagolando di dolore per l’assenza di Illyb.
Tornati al castello, i reali appresero con angoscia della scomparsa dell’amato animale. Il re disse: “Il nostro amato Illyb ci rattrista con la sua scomparsa. E’ come un figlio per me, e non riesco ad accettare che ci abbia lasciato” Ed aggiunse “Udite anche voi?”. “Cosa?” chiese la regina. Il re rispose: ”Nulla di nulla. Non si ode più il soffio del vento, il canto di un uccello. Tutto tace, come morto. I gatti sono stati separati e la sciagura del silenzio si è abbattuta nuovamente su di noi.”
Furono giorni difficili. Ellior si sforzava di tenere lontane le paure del buio, ma Illyb non era più lì ad allietare, col cristallino tintinnio del suo amuleto, le giornate della famiglia reale. Il re lavorava malvolentieri, ossessionato dal mistero della inspiegabile scomparsa di Illyb. La regina era triste ed inquieta, mentre Aras ed Eclicia diventarono presto litigiose ed esigenti, esasperando i genitori.
Il popolo tutto viveva lo stato di angoscia in cui erano caduti i reali e le giornate sembravano grigie.
Il re chiamò la sua famiglia e disse: “Miei cari, ho inviato messaggeri in tutti i villaggi del regno e nei paesi vicini, ma nessuno ha avuto notizie di Illyb, che sembra sparito nel nulla. Partirò io stesso e non avrò pace fino a che l’incantesimo che ci ha regalato serenità in questi anni non sarà ricreato”.
Aras ed Eclicia salirono correndo in cima alla torre, per salutare il padre con i loro fazzoletti colorati. Il padre ricambiò agitando la mano. Il suo cuore era pesante mentre, a passo deciso, si addentrava nella città.
Il re vagò a lungo nel regno, incontrando tutti gli abitanti ed ottenendone la promessa che lo avrebbero aiutato nella ricerca. Ma Illyb era proprio scomparso. E anche in città non se ne trovò traccia. Dopo un mese il re fece ritorno al castello. Lo accolse la regina che chiese: “C’é qualche notizia di Illyb? Una traccia, una speranza? La vita qui al castello non è più la stessa. Ellior adesso passa molte ore in nostra compagnia, ma sentiamo la mancanza di Illyb. Un silenzio assordante ci divora”.
Il re scosse la testa:” Niente di niente, ma ho scoperto chi potrebbe aiutarmi. Esiste un popolo di folletti dei boschi che aiuta gli animali in difficoltà. Vivono nelle campagne e nelle città e lavorano nel silenzio, con coraggio, per salvare molte creature abbandonate dagli uomini. Voglio incontrarli perché potrebbero avere notizie di Illyb”. “Dove pensi di trovarli?” chiese la regina.
Il re rispose: “Abitano ovunque, ma la maggior parte di loro vive a Murof, il paese fatato oltre l’orizzonte. Andrò lì e chiederò il loro aiuto. Lungo la strada chiederò a tutti i viandanti se hanno incontrato il nostro amico disperso. Magari avrò fortuna. E’ tempo che io parta”.
Una spia riferì i progetti regali al duca Fatos, che chiamò a raccolta i propri sgherri: “Dobbiamo ostacolare la ricerca del sovrano. Lo confonderemo con falsi avvistamenti”. E così fece. In ogni paese in cui il re arrivava, un servo di Fatos gli si faceva incontro dicendogli: “Maestà, Illyb è stato visto oltre la grande foresta.”, oppure, travestito da nonnina: “Maestà, nella valle fra i due fiumi ci sono molti gatti. Sicuramente anche Illyb si sarà smarrito ed avrà trovato rifugio e cibo lì”. E ancora, nei panni di un mendicante: “Maestà, Illyb si sentirà tradito e spaventato. E’ stato orribile lasciarlo a casa solo per godervi un viaggio”. Il re era angosciato ed in cuor suo si ripeteva: “Cosa ho fatto? Come ho potuto abbandonare Illyb? Tradire la sua fiducia. Oh, me sciagurato!”.
Altre volte le informazioni erano date in buona fede, da persone di cuore, ma non fu mai possibile per il sovrano stabilire un contatto con l’amato Illyb.
Il re, spossato dalla solitudine, dai mesi di ricerche, dalle false tracce, vagava per terre desolate, quando finalmente giunse in una valle luminosa e verde, dove molti felini scorazzavano felici. Erano accuditi dai folletti di Murof e potevano vivere gli ultimi anni della propria vita in serenità e sicurezza, dopo essere stati maltrattati dagli uomini o da loro abbandonati.
Il re era assorto in contemplazione dell’incanto del luogo, quando il duca Fatos, da sempre sulle sue tracce, decise di aggredirlo. Sbucò da dietro i cespugli che costeggiavano il sentiero, urlando: “Sono arrivato per piegare la tua speranza ed annientarti! Nulla ti salverà!”. Anche i servi di Fatos lasciarono i propri nascondigli e si scagliarono sul re, colpendolo. Il re cercava di reagire, ma la disperazione che da tempo era scesa nel suo cuore gli impediva di difendersi con efficacia. Assalito da più parti, trovò solo la forza di gridare “Fatos, traditore, hai approfittato della mia fiducia e mi hai ingannato! E solo ora comprendo quale sia la tua malvagità. Pagherai per questo!”. Quindi, ferito al volto, crollo al suolo. Ormai sopraffatto, stava per essere ucciso, quando si levò dal bosco un acuto grido di battaglia: “Caricaaaaa!!”, a cui seguirono soffi ed altri versi, sempre più minacciosi. Il re usò le forze residue per alzare la testa un istante, giusto il tempo per capire cosa stesse succedendo, e poi perse conoscenza, convinto di sognare, ormai prossimo alla fine.
Invece l’ora della rivincita era davvero arrivata. I folletti di Murof, che da giorni lo osservavano con curiosità lungo il confine della loro foresta ed avevano compreso la bontà delle sue intenzioni, sbucarono dal bosco in groppa ai loro gatti lucenti. Gli animali avevano il pelo ritto e le orecchie piegate all’indietro, in segno di attacco. Soffiavano come pazzi e correvano già con gli artigli sguainati e le fauci spalancate. Come gatte in difesa dei cuccioli, felini e folletti si batterono coraggiosamente per salvare il re, graffiando e mordendo, schivando e saltando, fino a mettere in fuga per sempre, laceri e sanguinanti, il duca Fatos ed i suoi servi. “Evviva!! Miaoooww!!” gridarono insieme le creature del bosco, esultando per la vittoria. Ma l’euforia durò poco. La punizione inflitta ai nemici era stata severa, ma la situazione era grave. Il più anziano di loro disse: “Il re è ferito gravemente, ma respira ancora. Portiamolo dalla Regina Luce”. Così fu issato su una slitta trainata da sette coppie di gatti del nord e giunse in breve tempo al palazzo reale di Murof.
Luce era una fata, e governava da sempre il paese di gatti e folletti, dove qualunque animale stanco e ferito poteva trovare cure ed affetto ad opera dei magici abitanti.
La regina emanava una luce candida ed intensa. Vedendo entrare il ferito comprese ogni cosa ed avvicinò le proprie mani al suo viso sanguinante. Lo sfiorò appena, ma immediatamente la ferita si richiuse, il pallore sparì, ed il re riprese conoscenza. Stordito e sorpreso parlò con fatica:” Grazie regina, il tuo popolo mi ha salvato. Vi devo la vita. Solo oggi ho scoperto l’inganno di Fatos e temo che non riuscirò più ad abbracciare il mio fedele amico Illyb. Non conoscerò più felicità, senza di lui, né il castello potrà vivere ancora a lungo senza la sua presenza ad allietarlo.”
Luce aprì la bocca come per parlare, e ne scaturì un canto melodioso, che pareva lo stormire del vento fra le fronde. Il re non udiva suono di parole, ma esse si imprimevano dentro di lui, come portate da candidi raggi attraverso i suoi occhi.
Disse: “Guarda dentro di te e trova pace. Forse non sapremo mai cosa sia stato di Illyb, ma il suo ricordo ti accompagnerà sempre. Come ogni animale magico Illyb è vissuto in bilico fra due dimensioni. A causa degli inganni di Fatos egli ha forse attraversato il ponte che porta là, dove i nostri amici felini ci aspettano per riabbracciarci, quando arriverà la nostra ora”.
Gli sfiorò la mano ed aggiunse: “ovunque sia ora Illyb, c’è un posto speciale per te nel suo cuore, così come ci sarà sempre un posto speciale per lui nel tuo, dal quale ti guarda con i suoi occhi d’ambra pieni di amore. Non spendere tutta la tua vita a cercarlo. Pensa a chi è rimasto ed ha bisogno di te. Illyb non ti ha mai veramente lasciato. E’ dentro di te, dentro tutti voi”.
Il re era colpito e commosso dalle parole di Luce, ma si ricordò dell’incantesimo e rispose: “Illyb è la metà di un universo incantato. E’ il calore del sole, il risveglio della natura, mentre suo fratello Ellior è il grembo della notte, la pace dell’anima. Come vivremo ora che abbiamo perso con Illyb la gioia e l’armonia del giorno?”
Luce gli sorrise. Il re ne scorgeva solo il bagliore, ma sentì ancora dentro di sé una dolce melodia quando gli parlò: “Prendi questo flauto di avorio. Soffia nelle sue canne intrecciate e ritroverai l’armonia del giorno, ed i suoni della natura. Apri il tuo cuore ed accogli il mio dono. Non avrai più bisogno di incantesimi per essere sereno. Guarda avanti a te e sii felice”.
Il re accettò il dono e disse: “Mi sembra di conoscere la forma di questo flauto, l’intreccio delle sue canne, ma non riesco a ricordare. Ed il materiale con cui è fatto, sembra lo stesso avorio della torre. Cosa significa?”
Luce rispose: “Fui io a donare la sfera fatata alla tua nascita. Ne avevi bisogno per crescere e diventare uomo. Ora non servono più incantesimi che ti proteggano. Riponi il flauto nella culla di avorio da cui fu estratto. E’ ora che tu ti apra alla vita senza una sfera di cristallo a ripararti dal vento e dalla pioggia. I suoni ed i profumi della vita torneranno a sferzare la tua anima e a farti sentire vivo. Ora vai. Il tuo tempo è giunto.”
Il viaggio di ritorno fu lungo e confuso, nella memoria del re, che al calare delle tenebre si faceva coraggio suonando il flauto d’avorio. La melodia che ne usciva era avvolgente. Era il suono della natura, della vita, lo stesso del cristallo magico di Illyb, come ora il re comprendeva pienamente. Tornato a palazzo, fra tutti gli onori, chiamò la moglie e le figlie e disse loro: “Saliamo alla torre, ho qualcosa da mostrarvi”. Aras e Eclicia erano felici di vederlo, dopo tanto tempo, come rinato e ritornato fra loro. Quando si fu seduto si arrampicarono sulle sue gambe e gli si accomodarono in grembo. La regina gli chiese: “Sei tornato senza Illyb e senza ricomporre l’incantesimo del cristallo. Perché sembri lieto?”. Il re rispose: ”Moglie mia, figlie adorate. Ho vagato per tutto il regno, affrontando grandi sofferenze e rischiando di perdere la mia vita nella ricerca di qualcosa che, invece, è sempre stato con noi e dentro di noi. Non avevamo occhi ed orecchie per vederlo e sentirlo, narici per sentirne il profumo e pelle sensibile per coglierne il soffio, ma Illyb ci donava l’incantesimo della vita, nel nostro palazzo chiuso al mondo. Dopo aver tanto patito, ora so come sciogliere l’incantesimo della sfera, che ci proteggeva un tempo, e oggi ci imprigiona. Il flauto fatato ci libererà dalla nostra gabbia d’avorio e ci restituirà alla vita”.
E così dicendo ripose il flauto nella custodia d’avorio che ne ricalcava il disegno, finemente scavata nel parapetto della torre, e, come d’incanto, un suono magico si udì tutto intorno a loro. Era il soffio del vento, il canto degli uccelli, il rombo leggero di un temporale lontano. Non era il flauto ad emetterlo. La sfera di cristallo per incanto si era dissolta e il mondo esterno entrava prepotentemente. Ognuno di loro si sentì riempito dalla gioia di vivere e dalla voglia di ridere. Si abbracciarono e strinsero a sé Ellior, che socchiudeva felice i grandi occhi, facendo fusa rumorose.
Il giorno successivo il re convocò il popolo e parlò alla folla: “Affiderò il governo del regno a senatori eletti. Ormai il mio compito è troppo gravoso per le forze di un solo uomo. Durante il mio lungo viaggio ho capito che non si può ignorare la natura e vivere come se non esistesse. Il nostro regno ha smarrito il suo legame con il mondo esterno, ed è ora che lo ritrovi. Lavorerete per rendere migliore la vostra vita, aiutando ciascuno ad avere di che nutrirsi e vestirsi, secondo necessità. Ognuno dovrà trovare tempo ed energie per il prossimo e per la natura. Pianterete alberi nei viali spogli, fiori nei campi inariditi. Acqua ed aria ritroveranno l’antica purezza grazie alle vostre fatiche. E questo darà a tutti gioia e prosperità. Questo farete in armonia con le altre creature del regno, cui io devo vita, speranza e tutta la mia riconoscenza ”.
Dopo aver parlato al popolo ed averne accolto le ovazioni, il re salì in cima alla torre. Voleva sentire sul viso la brezza, incamerarne a pieni polmoni l’energia vitale, cullato dal tepore del sole primaverile e dai suoni della natura.
Le figlie lo raggiunsero di corsa, seguite dalla regina, ed avvicinatesi gli chiesero: “E noi, padre, cosa faremo? Non c’è traccia di noi nel tuo disegno. Cosa significa?”
Rispose: “Ho deciso che per noi è tempo di partire. Troppo tempo abbiamo trascorso godendo da lontano delle gioie del creato. Il castello è stato la nostra casa e molti altri dopo di noi vi troveranno rifugio e serenità. Ma a noi ora servono spazi aperti e pensieri liberi”. E proseguì: “Vi chiedo di seguirmi a Murof. Là potremo vivere in armonia con la natura, proteggendola ed assaporando il legame di fiducia e rispetto fra uomini ed animali che in città si è perso”.
Le bambine lo abbracciarono entusiaste. La regina rimase pensosa per un po’, triste di dover abbandonare tutto quello che di bello aveva costruito negli anni al castello, e che considerava parte importante della sua vita. Ma poi si fece trascinare dall’allegria delle figlie, sciolse i capelli con un gesto liberatorio e ne ricevette l’abbraccio.
Partirono con mani libere e cuore leggero. Avrebbero trovato a Murof quel che serviva loro e che più desideravano. Il re rideva, con in braccio Ellior, e scherzava in continuazione. Disse alle figlie: “A Murof vi farò tre regali preziosi per adornare i vostri bei musetti: perle di rugiada, profumi di gelsomino e bracciali di margherite”, facendole ridere. Alla regina disse: “Già pregusto il fresco della brezza al mattino, i tuffi nel ruscello ed il tepore del sole per asciugamano; il ristoro del bosco al pomeriggio, quando non disdegnerò di riposare sopra un’amaca di foglie intrecciate. E tutto intorno a noi gli animali del bosco. Le bambine potranno rinascere libere e selvatiche, più sicure fra le fiere di quanto lo siano mai state nel castello, dove riuscì ad arrivare la malvagità degli uomini.”
Il viaggio verso Murof fu veloce e diretto. Con le ali ai piedi i viandanti vi giunsero in breve tempo e furono accompagnati festosamente al cospetto di Luce, che li accolse con il consueto calore.
Parlarono a lungo dei loro progetti ed insieme predisposero ogni cosa per la loro permanenza. Il legame fra loro sembrava esistere da sempre.
Re e regina scoprirono il piacere dei lavori manuali ed erano infaticabili. Le bambine accudivano i cuccioli ed aiutavano i folletti in ogni loro attività, diventando in breve esperte del bosco e della vita che le circondava. Mai erano state più felici, anche se sentivano la mancanza di altri bambini.
La loro gioia fu quindi completa quando, poche settimane più tardi, comparve un folto drappello di uomini, donne e bambini, tutti desiderosi, come loro, di stabilirsi in un luogo libero dagli obblighi della civiltà ed aperto ad un amore generoso ed altruista per tutte le creature viventi.
Le bambine erano entusiaste e scrutavano con evidente curiosità i nuovi compagni di giochi, impegnati a rincorrersi lungo la carovana. Eclicia, la più esuberante, iniziò subito a fare amicizia, dicendo: “Io sono Eclicia, la fatina dei boschi, e quella là che si nasconde dietro il cespuglio è la mia sorella Aras. Lei è molto timida!”. In tutti c’era la gioia e lo stupore della scoperta. Canti lieti si levavano dalla strada, che ogni giorno veniva percorsa da allegre e variopinte comitive di viandanti.
I primi ospiti lavoravano tutti insieme per costruire le case di tronchi e muschio per i nuovi arrivati, che a loro volta non si sottraevano ai doveri di accoglienza verso gli ultimi venuti. Con l’aiuto dei folletti, si formò presto una piccola comunità di amanti degli animali e della vita silvestre.
Le nuove case trovarono posto ai lati del palazzo di Luce, fra gli alberi secolari, e nessuna ombra rabbuiò i loro cuori leggeri, mentre si dividevano alloggi e suppellettili.
Un pomeriggio, al termine dei lavori, gli abitanti, stanchi ma felici, consumarono tutti insieme un sobrio pasto, festeggiando con danze e canti e raccontandosi a vicenda le proprie storie.
Conclusero infine la festa tenendosi per mano nella luce magica di un tramonto ambrato, che a tutti fece sognare, in ricordo del magico Illyb, l’alba di una nuova era di felicità.

Fine

Nota
Per chi avesse avuto la pazienza e la benevolenza di arrivare fino in fondo, sottolineo che la scelta dell'avorio come materiale prezioso (che rappresenta la ricchezza dei sentimenti) è stata obbligata per motivi simbolici. Personalmente avrei usato altro, ma nè l'oro nè le pietre preziose, a mio parere, si prestavano ugualmente. Perdonerete l'uso nella fiaba di un materiale di origine animale il cui uso mi fa raccapriccio. Ma è un uso puramente simbolico dello stesso..

valina
17-12-2007, 15:39
è una fiaba bellissima!
davvero bravo, bravo, bravo!!!:393:
mi dispiace solo che il tuo Billy non sia con te ora...mi dispiace tanto...:cry:

styd
17-12-2007, 16:17
Grazie Valina,
sono contento che ti sia piaciuta. L'ho scritta di getto, in un momento liberatorio. E in effetti dopo mi sono sentito meglio. Sollevato. Mi sono perdonato, per così dire, per quello che è successo quest'estate e per il dolore di non aver saputo più nulla di Billy.
Solo successivamente ho preso coscienza del fatto che difficilmente lo rivedrò. E non è stato facile questo ulteriore passaggio.

Ma oggi ho dato un annuncio allegro: Priscilla (dolcissima randagina di due mesi) è venuta a fare compagnia a Rollie (Ellior nella fiaba...ovviamente). E' davvero adorabile, in ottima forma e vispissima... Speriamo bene!

Ciao
Stefano

P.S.
Penso non sia sfuggito l'anagramma di Murof, vero??

valina
17-12-2007, 16:20
si,ho letto di Priscilla, e sono davvero felice, sei una persona che ha tanto amore da dare, e se il tuo Billy tornerà ce ne sarà sempre anche per lui!
sei davvero una bellissima persona!

ti abbraccio e....mi chiedo davvero come hai fatto a scrivere una cosa del genere, sarà che io proprio non sono capace:o....!

monachicchio
17-12-2007, 17:07
Che bella fiaba,Styd!!!! Ma eri consapevole di questo tuo talento di scrittore?Sei bravissimo!!:micimiao45::micimiao49::micimiao45::m icimiao45:
E c'è anche l'anagramma di Billy e Rollie ....e Sara e Alice(?) sono le tue sorelline?
E' la tua storia Stefano , vero?Che persona meravigliosa sei!!!!:micimiao06:Vorrei essere tua madre..
Ti auguro tanta serenità dopo quel grande dolore, adesso ti sei perdonato ( ma non avevi nulla da rimproverarti, era solo per amore che hai lasciato Billy libero) e poi, chi lo sa,possono ancora accadere tante cose...:micimiao05:
Un felice Natale a te e alla tua famiglia pelosa!!!:micimiao32:

Alessandra

Micia16
17-12-2007, 20:59
Davvero bella, complimenti. Dolcissima e piena di amore per i toui pelosi. Un abbraccio e un ronf ronf dai miei pelosi!!!

donadona
20-12-2007, 00:56
e' stato un vero piacere leggere questa bellissima storia, mi spiace infinitamente che billy non sia accanto a te.
Abbraccio infinitamente te e la tua famiglia, augurandovi un sereno Natale.

styd
30-12-2007, 16:32
Grazie di cuore per i complimenti e per gli auguri, che ricambio, seppure in ritardo.
Non volevo anticipare informazioni a chi avesse letto i commenti prima della fiaba. Ovviamente ad Alessandra avevo già risposto direttamente che Sara e Cecilia (o Aras ed Eclicia, come anagrammate nella storia) sono le mie bambine, e non le mie sorelline!! Non sono così giovane...

Un grande abbraccio e tanti auguri per un sereno e felice 2008!

Stefano

P.S.
Serenità e felicità spesso non sono così conciliabili fra loro...
Non so cosa ne pensiate al riguardo.., ma io in questo momento la vedo così...:confused: