Micimiao Forum di discussione per tutti i gattofili e amici degli animali
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01-03-2017, 20:20 | #11 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
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01-03-2017, 21:28 | #12 | ||
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
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Credo non sia chiaro di cosa tratti la zooantropologia, mentre capisco bene che aderire a questa scienza ed all'antispecismo implichi un salto di paradigma che non tutti sono pronti ad affrontare La zooantropologia è ben altro che lasciare i gatti i gatti in giro e va ben oltre, e penso che scriverlo voglia dire non aver neppure dato un'occhiata mentre si scola la pasta. Da SIUA Manifesto teorico della zooantropologia: "La zooantropologia nasce come specifica disciplina di analisi: a) del rapporto di dialogo con il non-umano (interazione relazionale tra uomo e animale), b) dei contributi referenziali (beneficialità dell’incontro-confronto) che tale rapporto produce. Già da questa definizione è evidente che la zooantropologia non è semplicemente lo studio del rapporto uomo-animale perché ammette due evidenze di novità: 1) che tra umano e non-umano ci possa essere un rapporto dialogico ossia uno scambio di contenuti con reciprocazioni e affiliazioni; 2) che il nonumano possa ricoprire un ruolo referenziale per l’uomo. La zooantropologia parte da presupposti teorici assolutamente innovativi rispetto al panorama precedente e di conseguenza sviluppa a) un campo applicativo (ambiti di attività) e b) una metodologia di lavoro (metodo) non sovrapponibili alle tradizionali aree di lavoro e agli approcci non relazionali-referenziali, per esempio della zootecnia. La zooantropologia non è pertanto semplicemente un’area tematica o un focus di ricerca interdisciplinare, ma un nuovo modo di concepire: 1) l’incontro tra l’essere umano e l’animale non-umano, 2) l’ordine di contributi che l’uomo può ricevere nella partnership con l’animale. Rispetto al punto 1 la zooantropologia ammette “un incontro relazionale” nel senso pieno del termine ossia di interscambio di contenuti e di ruoli, riguardo al punto 2 introduce “un contributo referenziale” accanto a quello zootecnico di tipo performativo. L’approccio zooantropologico si discosta da alcuni paradigmi tradizionali di lettura del nonumano nel rapporto con l’uomo quali: a) la trasformazione dell’animale in cosa (non reificazione), b) la riduzione della diversità del non-umano (non antropomorfizzazione), c) la negligenza verso la pluralità degli eterospecifici (non categorizzazione), d) l’utilizzo dell’animale come mezzo (non strumentalizzazione). In zooantropologia parliamo di: 1) animale “alterità” ovvero riconosciuto nei predicati di soggettività, diversità, peculiarità; 2) animale “partner” ossia coinvolto nel processo relazionale e non utilizzato come produttore di performance. Gli aspetti più importanti introdotti dalla zooantropologia sono i seguenti: 1) il principio di relazione ovvero l’ammissione,accanto alla semplice reattività-proiezione verso lo stimolo animale, di eventi dialogici e intersoggettivi tra l’uomo e il partner animale; 2) il principio di referenza, vale a dire il riconoscere, oltre ai tradizionali apporti performativi o zootecnici richiesti all’animale, un altro genere di contributi che scaturiscono dal dialogo con l’animale o dal fare riferimento all’animale; 3) il principio di dimensionalità della relazione ossia il ritenere la struttura di relazione non un’entità generica e uniforme ma un’entità configurabile e quindi capace di presentarsi all’interno di un range di possibilità con altrettanti esiti referenziali; 4) il principio di specificità, vale a dire l’ammissione che la relazione con l’animale occupa un posto specifico proprio in virtù della diversità dell’animale che pertanto dev’essere salvaguardata. La zooantropologia offre i propri strumenti interpretativi per la valutazione delle tendenze generali dell’uomo verso gli eterospecifici – quindi formula teorie sui processi di domesticazione, sugli utilizzi semiotici e simbolici della zoomorfia e si occupa anche delle interazioni non relazionali – tuttavia il fulcro di interesse di ricerca e applicazione di tale disciplina è focalizzato sulle interazioni relazionali e sui contributi referenziali che queste mettono a disposizione. 1) Rapporto umano e non-umano e tipologie di interazione Nel concetto generico di rapporto uomo-animale si comprendono in realtà diverse tipologie di interazione: a) quella reattiva, dove l’animale è uno stimolo (avversativo o appetitivo) che induce-suscita una risposta; b) quella proiettiva, dove l’animale viene letto come icona (segno, simbolo, surrogato) e il suo profilo è in un certo qual modo creato dall’uomo; c) quella di utilizzo, dove l’animale diviene un prestatore d’opera o uno strumento da sfruttare; d) quella dialogica, dove l’animale è in grado di dire qualcosa di nuovo all’uomo attraverso l’interscambio (entità referenziale). Analizzando queste possibilità vediamo che solo il punto “d” prevede una struttura veramente relazionale perché è l’unica a dare la parola all’interlocutore non-umano. Si può dialogare infatti solo a patto di non essere trasformati in cose o strumenti e solo se viene riconosciuto il proprio carattere di specificità e diversità, ossia uno statuto di alterità. La zooantropologia in tal senso distingue due tipi di rapporto uomo-animale............ Ma penso questo basti a dare una leggera idea, un po' meno approssimativa P.S. il copiaincolla è venuto decisamente male, abbiate pazienza "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne Ultima Modifica di Aletto; 01-03-2017 at 21:30. |
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01-03-2017, 22:05 | #13 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Beh, mi sembra evidente che l'allevamento, la selezione (e l'addestramento) di esemplari vuoi per determinati compiti (caccia, corsa, guardia alle greggi, difesa), vuoi sulla base di criteri estetici, sia piuttosto antitetica al modo di concepire e relazionarsi all'animale proprio della zooantropologia. Anche l'uso dell'animale per sport o per passatempo (quindi la monta a cavallo non competitiva, la semplice passeggiata) non è in linea con una considerazione dell'animale in termini di partner dialogico da concepirsi nella sua alterità specifica (quindi al di fuori di qualunque rappresentazione antropomorfica) quale quella propugnata dalla zooantropologia, perché a prevalere in questo caso è il mio divertimento (non credo che il cavallo smani per portarmi in giro sulla sua groppa).
O ho capito male? Preciso inoltre che il mio rifiuto/perplessità della zooantropologia parte da ragioni teoriche, ovvero io non credo che si possa studiare, conoscere e pensare l'animale (un qualsiasi animale) al di fuori di ogni categorizzazione e ogni umanizzazione. Credo però che non per il fatto che lo si categorizza e lo si umanizza in una certa misura (non sto a ripetere ogni volta i miei pipponi), l'animale diventi oggetto o peggio ancora strumento piegato al volere umano. Ultima Modifica di SerenaF; 01-03-2017 at 22:10. |
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02-03-2017, 02:22 | #14 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Non sono ovviamente in grado di fare teoria al riguardo, non avendo mai studiato la zooanrtopologia, ma leggendo causa insonnia , mi chiedevo: quali sarebbero in pratica, con esempi molto terra terra accessibili a tutti, gli "errori" che commetteremo nei confronti dei gatti?
Leggendo il manifesto teorico, direi che non ho mai considerato i gatti o cani come delle cose o delle persone. Anzi, mi piacciono proprio perché NON sono umani, ma diversi. Non trovo ad esempio inconciliabile amare cani e gatti, li amo nella loro diversità, anche se forse alla fine ho capito che sono più gattara e non per preferenza, ma per carattere, non credo di rappresentare il "capobranco" ideale. Direi che tutti noi qui abbiamo una rapporto di scambio con i gatti. Sull'allevamento, la scelta di non comperare un animale di razza devo dire che è stata solo in piccola parte conseguenza di certe caratteristiche della cosiddetta "cinofilia ufficiale" che non mi piacevano. La ragione principale è stato il dolore: quando è morta la mia ultima cagnona di razza, Fiamma, il dolore è stato enorme. Il primo pensiero è stato di non prendere altri animali (anche se in verità c'era già Mia) per non doverci ripassare mai più. Ma è una vita che non mi piace, quella senza compagni animali e ho sentito che potevo trovare tollerabile quel dolore non prendendo un animale che era stato fatto nascere "apposta" , ma qualcuno che cercava casa, senza nessun ragionamento di etica ecc, ma pensando solo ai miei sentimenti. Lizzie Tigre Morgan Mia sul Ponte. |
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02-03-2017, 06:43 | #15 | |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
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E' interessante quello che dici. Qualche "errore banale" è stato affrontato nel thread http://www.micimiao.net/forum/showthread.php?t=121793 Il loro non essere umani ed essere diversi da noi resterà una distanza involontariamente frapposta tra noi e loro se non riusciamo a specchiarci in loro e ritrovare noi stessi riconoscendoci. Non penso sia necessario essere "capobranco" per relazionarsi al cane, essere "capo" implica la presenza di subalterni, di una scala gerarchica che loro instaurano per altri motivi. Tra uomo e cane non c'è un "capo" ma desiderio di collaborazione tra pari. Così incontri il cane con il suo mondo, i suoi desideri, la sua gioia di condividere un prato con te Una vita senza animali per me è impossibile, sto vedendo ora la coppia di gabbiani che ogni anno nidifica sul tetto qui di fronte. Ieri c'era un terzo, un intruso che poi è andato via. Si portano il cibo a vicenda o forse è uno solo che porta il cibo, ma volano dandosi dei turni. Tra non molto prepareranno il nido "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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02-03-2017, 08:11 | #16 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Grazie Serena per la spiegazione!
Adesso mi è tutto più chiaro... ... A meow massages the heart ... |
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02-03-2017, 10:40 | #17 | ||
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
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Penso che non ci sia un termine terzo intermedio tra identità e alterità; se ci riconosciamo nell'animale non umano, accorciamo le distanze, ma con questo diluiamo e in una certa misura annulliamo l'alterità, se manteniamo l'alterità in tutta la sua forza e pregnanza, ci può essere incontro, ma non rispecchiamento o riconoscimento. Anche laddove l'identità del sé si costruisce in rapporto all'alterità (se vogliamo trovare degli esempi squisitamente filosofici, potremmo rivolgerci all'idealismo tedesco, in particolare Fichte e Hegel), è sempre per differenza che ciò avviene: definisco il mio sé, distinguendomi dall'altro, in un certo senso affermando la mia alterità rispetto a ciò che è altro da me, poi nel caso dei filosofi che ho citato c'è sempre un superamento, un'introiezione e quindi un annullamento del non io (Hegel e Fichte non sono filosofi dell'alterità), ma resta che la definizione del rapporto tra io e non io è in un primo tempo di esclusione (non io è, piuttosto intuitivamente, ciò che non fa parte dell'io e, per converso, dell'io fa parte tutto ciò che non appartiene al non io). Insomma o gli animali sono diversi da noi e allora non c'è riconoscimento se non a discapito dell'alterità, della differenza e della specificità, oppure sono come noi e allora ci può essere rispecchiamento, ma non alterità, se non in una forma molto diluita e indebolita. Comunque, lasciando da parte queste divagazioni filosofiche, e giusto per tentare di rettificare qualche "errore banale" (che evidentemente è molto più pervicace di quanto si creda), siccome la zooantropologia, trattando di relazione tra uomo e animale, ha accanto a delle basi teoriche, delle implicazioni pratiche, vorrei capire quali di queste pratiche possa essere giustificabile e lecita in un'ottica zooantropologica: - Allevamento - Addestramento - Adozione e detenzione di animali presso le nostre case - Creazione di strutture (canili/gattili) dove gli animali randagi vengano custoditi e di apposite aree per i feral - Sterilizzazione Per parte mia penso che nessuna di queste lo sia- e ho lasciato volutamente da parte la somministrazione di cure ad animali malati, perché in quel caso penso che anche la zooantropologa ammetta l'intervento dell'uomo, anche se non lo darei come sicuro al 100%. Ecco perché, quando si passa dalle premesse teoriche, alle conclusioni pratiche, mi sento di condividere l'opinione di Morghi che non si può essere coerenti fino in fondo con la zooantropologia se non lasciando gli animali (gatti, cani, cavalli, galline...) per strada (o in campagna: vedete voi, non è che le strade cittadine siano l'unica opzione) liberi di fare quello che vogliono, limitandoci tutt'al più ad osservarli (come succede con gabbiani, beccacce, falchi, nutrie). Sono però molto interessata alle vostre opinioni e riflessioni. Faccio ancora 2 precisazioni: 1) qualunque sia l'orientamento teorico, la vita senza animali non è possibile, per il semplice fatto che ci troviamo a condividere il pianeta con diverse altre specie non umane. La differenza tra i vari approcci è semmai nel ruolo e nel grado di intervento dell'uomo. 2) L'approccio utilitaristico e quello che riconosce all'animale un valore (affettivo e non ) per se, indipendentemente dall'utilità che quell'animale può avere per l'uomo, per lo più coesistono; mi ricordo una storia molto bella e toccante di un signore inglese cieco che aveva un cane guida, il quale, a seguito di una malattia degenerativa, perse la vista anche lui (anzi lei). Amandola molto, questo signore si rifiutò di seguire i consigli scellerati di quelli che gli suggerivano di mollare il cane in canile o addirittura di farla sopprimere e chiese all'associazione da cui l'aveva presa anni prima se potevano dargli un altro cane guida che potesse badare al tempo stesso a lui e alla sua cagnolona cieca. Ovviamente gli addestratori furono ben felici di accontentarlo e iniziarono un programma di addestramento speciale con uno dei loro cuccioli che poi divenne un cane guida per due. Anche i conduttori di cani da soccorso spesso nutrono un vivo affetto per i loro animali. Certo la relazione affettiva non rientra ancora in un'ottica zooantropologica, ma era giusto per dire che non è che si possa tracciare un confine netto separando del tutto utilitarismo e reificazione da una parte e approccio disinteressato dall'altro. |
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02-03-2017, 11:12 | #18 | |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Quote:
Anna Leo Ludo Tesla Sestosenso Conrad-Cispi ... Sharon Bender Trippy Romeo, Buscemino e Biri sotto il salice, Rourki sotto la quercia |
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02-03-2017, 11:58 | #19 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Ah sì, certamente, ma come fa il cavallo ad esprimere il suo consenso? Ok, se si muove, scarta, si sposta, mentre gli sto salendo in groppa, posso dedurre che magari non gli va tanto, ma se sta fermo, vale il principio dell'immobilità-assenso oppure devo presumere che il cavallo non darebbe mai il suo consenso, perché non gliene frega niente che io lo cavalchi e sta di sicuro meglio senza i miei 50 kg e rotti sulla schiena?
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02-03-2017, 12:13 | #20 |
Re: Allevatori, benessere del gatto e zooantropologia
Quanta confusione però, scrivere confondendo le acque non solo a se stessi ma anche agli altri utenti non giova a nessuno, soprattutto agli altri animali.
Siamo già entrati nell'era del postumanismo (o postumanesimo) senza rendercene conto. ".... qualunque sia l'orientamento teorico, la vita senza animali non è possibile, per il semplice fatto che ci troviamo a condividere il pianeta con diverse altre specie non umane. La differenza tra i vari approcci è semmai nel ruolo e nel grado di intervento dell'uomo. Questo, secondo me è un pensiero assai restrittivo, e non sto a spiegarne il motivo "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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